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Il fisco può aiutare le imprese a crescere. I consigli di Mantovani (Cida)

Il Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali nel suo ultimo rapporto sulle dichiarazioni dei redditi 2017, dimostra che il 12% dei contribuenti italiani versa quasi il 58% dell’Irpef nazionale. Queste due percentuali forniscono la più evidente fotografia di come il sistema fiscale nazionale sia, ad un tempo, inefficace e iniquo, perché la curva dell’Irpef è praticamente piatta per i primi scaglioni di reddito, mentre è diventata eccessivamente progressiva per determinate categorie di contribuenti, caratterizzate dal reddito fisso (con importi medio-alti) e dal sostituto d’imposta. Si finisce così per rappresentare una visione distorta dei redditi nazionali, provocando fenomeni di impoverimento di interi gruppi di cittadini, mentre altri – sostanzialmente quelli che dichiarano meno di 15 mila euro annui – praticamente hanno una Irpef nulla o irrisoria, pur usufruendo di prestazioni sociali e sanitarie il cui costo grava sugli altri contribuenti. In pratica, i dati e le tabelle fornite dall’Osservatorio annuale di Itinerari Previdenziali, evidenziano quanto siano pretestuose le accuse ai presunti ricchi e privilegiati che non vogliono pagare le tasse (almeno quelle rivolte ai dipendenti). E dimostra anche che il prelievo fiscale, per come è strutturato, non potrà far fronte ancora per molto alle spese del welfare cui siamo abituati, a partire alla sanità. Come Cida riscontriamo che in quel 12% che si sobbarca il 58% di tutta l’Irpef nazionale, (che ammonta complessivamente a 164 miliardi di euro), vi sono dirigenti, professionisti, manager privati e pubblici, in servizio e in pensione: circa 2 milioni di lavoratori preparati e qualificati che hanno sempre fatto il loro dovere di contribuenti, ma sui quali si accanisce una campagna mediatica che li dipinge come dei privilegiati e sui quali si concentrano sempre nuovi interventi legislativi di riduzione del reddito.

È il caso delle pensioni di importo medio-alto, con il mancato adeguamento all’inflazione e il cosiddetto contributo di solidarietà, ma anche di proposte che puntano a ridurre deduzioni e detrazioni fiscali per i percettori di redditi medi. Le cifre contenute nell’Osservatorio devono far riflettere e spingere i decisori politici ad interventi non più rinviabili. Se la progressività del nostro sistema fiscale, come ci dicono i numeri, si è molto accentuata, creando un’evidente sperequazione fra i troppo pochi che versano al fisco e i tanti che non lo fanno affatto o solo per cifre irrisorie, ne deriva che l’intero nostro sistema di welfare rischia di diventare insostenibile. Alimentare l’idea che possa esistere una riserva di redditi poco tassati, in capo a ricchi privilegiati, è una grave distorsione dei fatti, che genera invidia sociale e non contribuisce a trovare soluzioni. Le spese sociali, in particolare quella sanitaria, vanno a finire solo sulle spalle di chi le tasse le ha sempre pagate, con un aggravio crescente in termini di riduzione del reddito disponibile, di potere d’acquisto, di depressione dei consumi e di dinamismo imprenditoriale. Stiamo assistendo a un graduale ma costante rallentamento nella crescita dei redditi appena superiori alla fascia bassa. Gli scarsi investimenti in tecnologie, organizzazione e competenze, oltre a una generalizzata avversione verso chi per merito e competenze guadagna più della media, hanno portato a valori medi dei redditi di lavoro indegni di un paese sviluppato, che esprime leadership in molti settori.

Se questa è l’analisi, è evidente che il trend non può che registrare un peggioramento generale, sul fronte degli incassi dell’erario, della pressione fiscale complessiva e/o per categorie di contribuenti, della sostenibilità della spesa per il welfare. Servirebbero interventi correttivi, tempestivi e praticabili, senza immaginare riforme rivoluzionarie con costi politici irrealistici, o proporre fantasiosi escamotages giocando con le accise. Certo è che, ormai, gli scaglioni di reddito sui quali grava la maggior parte dell’Irpef sono ben lontani dall’individuare i ricchi sui quali la progressività dell’imposta svolgerebbe l’originaria funzione sociale e riequilibratrice. In realtà, le remunerazioni si sono appiattite verso il basso, le imprese non hanno aumentato le loro dimensioni, il lavoro qualificato non è cresciuto. Ed è da qui che bisogna ripartire con segnali concreti, prima di avventurarsi in nuovi interventi sul fisco o nell’individuare inediti strumenti di diritto tributario per contrastare le troppe vaste aree di evasione ed elusione fiscale.

Itinerari Previdenziali, per la verità, suggerisce l’introduzione del contrasto di interessi fra categorie di contribuenti per consentire una maggior trasparenza e tracciabilità degli scambi e incentivare la registrazione delle transazioni. Una strada che l’introduzione della fatturazione elettronica, altro esempio, ha avviato con un certo successo. Ma sappiamo anche che molto resta da fare sull’incrocio delle banche dati, e nel rapporto fra lo Stato e il cittadino-contribuente.
Come Cida preferiamo concentrarci su quello che conosciamo meglio: le imprese e il lavoro. Le imprese devono crescere: in dimensione, in qualità del lavoro e della sua remunerazione, in capacità di attrarre capitali e di competenza nel saperli procacciare ed investire. Il fisco può aiutarle in questo sforzo, ad esempio premiando le aziende che fanno utili, e/o quelle che assumono. Si è tentato più volte in un recente passato. Ora vanno selezionati gli strumenti migliori e applicati senza attendere oltre.

Ma si farebbe torto all’impegno intellettuale dell’Osservatorio, se non si avvertisse la gravità della situazione in cui versa il sistema di welfare. Di come sia diventato inadeguato il finanziamento della spesa sociale che per decenni ha garantito previdenza e sanità a tutti. Da un lato, la rarefazione e la frammentazione del lavoro giovanile, la discontinuità di molte carriere professionali, rendono incerto il futuro previdenziale di molti. Dall’altro, i costi crescenti della sanità pubblica e una scarsa attenzione alle istanze avanzate dalle categorie professionali dei medici, stanno mettendo in crisi il Servizio Sanitario Nazionale. Una prima, pur timida, risposta viene dal diffondersi di forme di welfare aziendale, che andrebbe incoraggiato e inserito in un contesto organico e coerente. Sarebbe anche utile favorire la crescita dimensionale e organizzativa delle imprese di servizi alla persona, con azioni efficaci di contrasto dell’opacità e irregolarità, limitando la presenza sul mercato di operatori marginali, il cui mancato equilibrio economico genera comportamenti evasivi ed elusivi delle norme fiscali.

C’è un’ultima riflessione che viene suggerita dalle tabelle e dai dati dell’Osservatorio sui redditi. Quando si scava fra le categorie di contribuenti, i loro scaglioni fiscali, le loro aliquote, i loro versamenti, oltre a rendersi conto dei bassi livelli retributivi, si palesa anche l’incongruità della ‘vecchia’ distinzione fra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Categorie di un altro secolo, che forse giustificavano un certo sospetto di favore fiscale nei confronti dei lavoratori autonomi, ma che ora fanno parte della storia del diritto del lavoro, non certo di una realtà fatta di tanti lavori, spesso poco qualificati e poco pagati, di negozi chiusi, di e-commerce, di sterili dibattiti sul lavoro domenicale. Ecco, mentre si lavora alla prossima legge finanziaria, vorremmo meno dibattiti e più proposte per far crescere le imprese, il lavoro qualificato e la sua remunerazione e consentire ai nostri giovani preparati di trovare occasioni professionali in Italia, con stipendi adeguati e un sistema di welfare che incoraggi la natalità e prepari alla pensione. Su questo terreno Cida ha proposte da fare ed è pronta al confronto con la politica.

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