Labour Day USA: mayday del lavoro che cambia

I nuovi lavori e lavoratori chiedono rappresentanza e diritti. Pur in contesti molto diversi, gli USA, così come l’Europa e l’Italia, devono gestire questa situazione anche con il welfare e le sue declinazioni

Il Labour Day nordamericano si celebra quest’anno in un contesto di rinnovato interesse per l’attività sindacale. Nonostante il numero sempre più ridotto d’iscritti – solo il 10% degli statunitensi lo è, rispetto al 20% di un decennio fa – aumenta l’interesse per la difesa dei diritti dei lavoratori, specialmente fuori dai settori tradizionalmente sindacalizzati, come la meccanica e i trasporti. In particolare, sono le modalità di lavoro sviluppate da alcune Big Tech e soprattutto il lavoro su piattaforma a suscitare la domanda di rappresentanza, con l’obiettivo di vedere riconosciuti i diritti a sicurezza, maggiore stabilità e soprattutto a una paga oraria decente.

Secondo un sondaggio Gallup, il 64% degli americani esprime apprezzamento per l’attività dei sindacati: il valore più elevato negli ultimi 5 anni e il terzo più alto dagli anni 70.

Non sono le situazioni di crisi a trainare la richiesta di rappresentanza (l’economia USA continua a crescere a tassi significativi), ma le trasformazioni del lavoro e la percezione che l’innovazione e la crescita di produttività non generino benefici adeguati anche per i lavoratori. Cominciano a farsi strada concetti vicini all’idea di contratto sociale di matrice europea (e finanche la domanda di salari minimi definiti per legge) e critiche sempre più accese al modello della parcellizzazione del lavoro, dei micro-pagamenti, del lavoro autonomo inteso come privo di responsabilità e obblighi da parte dell’azienda.

Le differenze tra il mercato del lavoro americano ed europeo sono notevoli, come anche la struttura dei costi e il ruolo dei sindacati, ma alcuni trend mostrano tratti comuni. Ci avviciniamo sempre di più a un bivio. Continuando a parcellizzare, decostruire, deresponsabilizzare il rapporto tra azienda e lavoratore si apre lo spazio per politiche di sussidi generalizzati e provvedimenti di legge come il salario minimo. Invece, investendo sulla qualità del lavoro, sul welfare solidaristico contrattuale e aziendale, sul dialogo tra le parti sociali, è possibile ridurre il carico fiscale associato al welfare anonimo, indistinto, indirizzando le risorse pubbliche nei settori e nei territori più critici.

È anche una sfida per i sindacati: nel primo scenario è sempre più facile che vengano scavalcati da forze politiche d’impronta populista, nel secondo devono in taluni casi trasformare i modi e gli strumenti della rappresentanza, dando maggiore spazio alla competenza e alla capacità di dialogo qualificato, con i diversi stakeholder pubblici e privati.

Anche in Italia, non appena il nuovo governo s’insedierà – ma anche nell’ipotesi di elezioni a breve – le evoluzioni del mondo del lavoro richiedono ai sindacati di fare scelte e di dare maggiore rilevanza al loro ruolo se non si rassegnano a essere sorpassati dalle proposte di matrice partitica.

Il capitolo del reddito minimo sarà a breve riaperto e le regole del lavoro su piattaforma sono ancora lontane dall’essere definite. Ma anche i numerosi casi d’imprese in crisi richiedono di trovare soluzioni innovative per riconvertire i lavoratori e accelerare la trasformazione di settori tradizionali, aumentandone la produttività.

È giunto il momento di lanciare le sfide del lavoro futuro: superamento della distinzione dipendente-autonomo, diritto soggettivo alla formazione e alla qualificazione, sviluppo del welfare sussidiario, centralità dell’uomo, anche nell’organizzazione cibernetica, focalizzazione all’occupabilità da parte dell’Agenzia per il Lavoro.

Le politiche del lavoro connoteranno in modo sempre più decisivo il futuro delle comunità nazionali e territoriali: raccogliamo gli stimoli del Labour Day per accelerare il passo.

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