Il mondo del lavoro sta cambiando velocemente e profondamente; tali mutamenti avranno ripercussioni epocali sull’organizzazione della società e sulla vita stessa dei cittadini, in uno scenario futuribile composto da due classi sociali: chi lavora e chi viene assistito. Allora, se i nuovi lavori si allocheranno nei Paesi che più avranno investito in innovazione e se saranno appannaggio delle persone che continuano a formarsi, l’agenda di governo dei prossimi anni dovrà mettere al centro una revisione del sistema educativo e dell’istruzione per preparare i giovani a competenze laterali, flessibilità, e si dovrà correlare al sistema produttivo-industriale per assicurare formazione e conversione continua.
Sono questi i temi affrontati a Chia Laguna (Cagliari) nel convegno “L’evoluzione delle professioni e l’impatto sul welfare“, organizzato da Valore, società di consulenza che riunisce investitori istituzionali, casse di previdenza, professionisti e i rappresentanti del mondo manageriale. Al centro dei lavori, un documento inviato ai ministri Di Maio e Salvini, in cui nove esperti di futuro, tecnologia, lavoro, previdenza quali Cristina Pozzi, Davide Casaleggio, Giovanni Lo Storto (DG Luiss) Mario Mantovani (Presidente CIDA), Sergio Corbello (presidente Assoprevidenza), Francesco Verbaro (presidente OIV al Mef) e altri, tracciano gli scenari futuri del lavoro e come le tecnologie digitali lo influenzeranno.
“Gli Stati stanno iniziando a riconoscere la portata della sfida – ha detto Mario Mantovani, Presidente CIDA – e le reazioni di tipo sovranista ne costituiscono le avvisaglie: incarnano il tentativo di ricondurre l’economia nell’alveo dello scambio, dei mercati locali, dei vincoli alla circolazione delle persone, delle merci, del denaro, delle idee. Indipendentemente dal fatto che sia o meno auspicabile, è ormai troppo tardi. Il lavoro richiesto dalle aziende è sempre più caratterizzato da un mix originale e poco replicabile di conoscenze teoriche e pratiche, abilità individuali, applicazione di know how, utilizzo di strumenti, sviluppo e innovazione. Non c’è una valida risposta normativa a queste nuove esigenze, anzi alcune proposte possono risultare dannose.
Chi propone forme di redistribuzione del reddito, sotto forma di somme di denaro concesse in modo più o meno incondizionato – ha sottolineato il Presidente di CIDA – credo sottovaluti un grande rischio. Una società segmentata in due classi con interessi opposti, i lavoratori che direttamente o indirettamente pagano tasse e i non lavoratori assistiti, è fortemente instabile e, dopo un possibile periodo in cui prevalgono idee di solidarietà, la contrapposizione diventa fortissima e ingestibile. Non è solo una questione di risorse economiche più o meno disponibili: qual è il futuro di quella parte di umanità resa inutile dall’assenza di lavoro e non indirizzata ad altre attività in grado di farla crescere ed evolvere organicamente? E’ sufficiente fornire alle persone una somma di denaro per sopravvivere o dobbiamo preoccuparci delle legittime aspirazioni a un ruolo nella vita e nella società? Vanno quindi chiariti, rinsaldati, sviluppati i legami tra le persone e la società di cui facciamo parte, ciascuno deve trovare il suo posto a tavola, non solo mangiare. La sfida degli economisti sta qui: costruire un modello che dia un nuovo significato al lavoro, che non si proponga utopicamente di eliminare ricchezza e povertà, ma ci aiuti a non precipitare nell’inutilità, nell’ostilità, nel degrado”, ha concluso Mantovani.