Un dialogo tra Mario Mantovani, presidente CIDA, ed Emilio Rossi, senior advisor di Oxford Economics.
Mario Mantovani: – Un CdM di soli 30 minuti (è una regola per questo governo), ha approvato martedì sera il Def 2019. Non contiene sorprese e, almeno per il 2019, pare basato su ipotesi realistiche, e questa è già una buona notizia. La realtà economica del nostro paese purtroppo non è altrettanto buona, ma riconoscerlo senza cercare a tutti i costi i “colpevoli” è segnale di maturità.
Le previsioni 2019 del Def mostrano un andamento del Pil reale prossimo allo zero, tasso di disoccupazione in aumento di 0,4%, deficit e debito pubblico in aumento rispettivamente di 0,3% e 0,4%. L’allineamento al ribasso della crescita del Pil (dall’1% previsto dalla Legge di Bilancio allo 0,2%) riflette le previsioni dei principali istituti economici. Il documento pone l’accento sulle variabili esterne, in particolare la minore crescita del resto del mondo e il rallentamento del commercio internazionale.
Emilio Rossi: – La sostanziale stagnazione dell’economia italiana nel 2019 era stata anticipata già dalla fine dello scorso anno in relazione a vari fattori, soprattutto interni: paese in recessione già negli ultimi due trimestri del 2018 con effetto di trascinamento conseguente nel 2019, misure del governo orientate a sostegno di domanda non produttiva, aumento dello spread con conseguenti maggiori costi per la finanza pubblica, per la capacità di credito delle banche e soprattutto per la fiducia di famiglie e imprese. A tutto ciò si sono aggiunti anche fattori esterni ma le imprese italiane hanno mantenuto un buon livello di esportazioni anche nella seconda parte del 2018, minimizzando l’effetto negativo proveniente dall’estero.
Adesso il governo, con i numeri presentati nel Def, sembra aver accolto alcune delle critiche che gli erano state rivolte sulla valutazione troppo ottimistica dell’effetto di RdC e Quota100 – ma ormai la stagnazione (che si sarebbe potuta evitare spingendo su maggiori investimenti e su misure orientate alla crescita della produttività) è una realtà che comporta impatti negativi sulla finanza pubblica e sull’occupazione. Il nuovo aumento del rapporto debito/Pil rappresenta un deragliamento importante da quel percorso di rientro a cui i mercati danno importanza sostanziale.
Una realtà foriera di ulteriori scontri con l’Unione Europea, forse solo rimandati grazie alle elezioni europee di maggio. Soprattutto oggi preoccupa il mancato cambio dell’impostazione ispiratrice delle misure più rilevanti per le finanze pubbliche, il che si rifletterà in grosse difficoltà a partire da settembre per la stesura della Legge di Bilancio 2020.
MM: – Il Def incorpora già gli effetti delle due misure-simbolo di questo governo: quota 100 e reddito di cittadinanza. Evidenzia che il loro effetto sulla crescita di Pil e occupazione sarà prossimo allo zero, in particolare per i pensionamenti anticipati. Appare anche un “numerino” che conferma il tasso di sostituzione di lavoratori pre-pensionati con nuovi assunti: un modesto 35%. Uno su tre, come avevano previsto i colleghi manager in un sondaggio di qualche settimana fa.
Il reddito di cittadinanza parrebbe invece promettere migliori risultati, a partire dal 2020. Abbiamo però grandi dubbi sulle modalità con cui verrà gestito e perciò sull’efficacia delle misure che devono far crescere l’occupazione in questa fascia di cittadini. –
ER: – L’effetto di Quota 100 dipende da tre fattori: numero di richiedenti effettivo, tasso di sostituzione tra pensionati e nuovi assunti (sostanzialmente funzione del comportamento delle imprese che a loro volta saranno influenzate dall’andamento dell’economia e dalla certezza del quadro normativo), blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione inserito nella Legge di Bilancio approvata alla fine del 2018. A fronte di queste considerazioni è effettivamente possibile che l’impatto complessivo di Quota 100 non sia significativo. Dal lato positivo invece è bene tenere presente che la percezione del Tfr legato al pensionamento potrebbe essere in grado di spingere i consumi.
Il RdC avrà un impatto proporzionale al numero di richieste (all’interno del tetto massimo stabilito), per ora non particolarmente elevato anche a causa dei ritardi nella implementazione concreta. Uno strumento di copertura delle situazioni reddituali più sfavorevoli era sostanzialmente assente in Italia e aver affrontato il tema è cosa positiva. Tuttavia, tre elementi concorrono al giudizio negativo sulla misura adottata: a) la dimensione del sussidio, con conseguente costo eccessivo per la collettività a scapito di altre forme di utilizzo delle risorse, b) il costituirsi come una sorta di salario minimo, con le difficoltà conseguenti per le imprese, c) il disincentivo alla formazione per l’entrata nel mondo del lavoro, con forti rischi di aumento del ricorso al lavoro nero. La funzione e l’effettiva efficacia dei Centri per l’Impiego appare tuttora sopravvalutata dal governo.
MM: – Le previsioni del Def si basano anche sulla crescita degli investimenti pubblici e privati e sulle entrate derivanti da privatizzazioni. Sullo sblocco dei cantieri e sulle misure di agevolazione degli investimenti (Dl Crescita) si sono concentrate le dichiarazioni del ministro dell’Interno Salvini. Se proseguiranno i contrasti tra gli alleati di governo è molto difficile che vi sia un effetto positivo dovuto a questa fondamentale componente. Il nostro timore, in particolare, è che i vincoli autorizzativi rimangano ancora molto elevati e coinvolgano troppi attori pubblici nelle decisioni, nonostante il ricorso ai Commissari straordinari. La revisione del codice degli appalti va comunque nella giusta direzione: negli ultimi anni ci si era concentrati, non senza motivo, sulla legalità, bloccando tuttavia numerosi progetti. Il punto centrale rimane però, nel settore degli appalti pubblici, la grave carenza di professionalità tecniche, economiche e gestionali, e di meccanismi in grado di valorizzarle.
ER: – In un articolo sul Sole 24Ore, il ministro Tria aveva già nel luglio 2018 sottolineato l’importanza della ripresa degli investimenti e della necessità della semplificazione delle procedure per il loro rilancio. Ma l’attenzione del governo si è poi spostata su un altro terreno, indicando che le linee guida del governo sono ispirate da altre priorità. Approvare oggi una legge sullo sblocco dei cantieri significa ottenere un impatto su investimenti, crescita e occupazione a partire dal secondo o terzo trimestre del 2020. Permangono anche i dubbi sulla capacità tecnica delle amministrazioni pubbliche di gestire un forte piano di investimenti in infrastrutture pubbliche. Diverso è il discorso sul 5G, dove le competenze ci sono ma occorrerebbe una chiara visione politica su come avviarlo.
Un ulteriore elemento di preoccupazione è sul fronte delle privatizzazioni, previste in 18 miliardi nel 2019 e ribadite nel Def appena presentato. L’ammontare è significativo e ne appare quindi molto difficile la realizzabilità tra giugno e dicembre. L’unica via di uscita potrebbe essere l’acquisizione di asset da parte di Cdp ma la dimensione in un tempo così breve rischierebbe di far aprire un altro fronte con la Ce sul mantenimento dell’esclusione della Cdp dal perimetro dell’amministrazione pubblica.
MM: – L’attenzione dei media è stata attratta più dalle nuove promesse del governo, in particolare in campo fiscale. Le varie ipotesi di flat tax puntano a ridurre il carico fiscale per le famiglie con redditi inferiori a 50.000, ma non sono chiari i termini e le modalità. In materia fiscale il diavolo sta sempre nei dettagli. È ovviamente auspicabile una riduzione dell’imposizione fiscale, specialmente di quella sul lavoro, ma il problema è sempre lo stesso: come sarà finanziata? I ca. 12 miliardi di maggiori oneri stimati dovrebbero essere recuperati dalle ormai famose “deduzioni e detrazioni”, quasi fossero un tesoro gelosamente custodito dal Mef. Sappiamo però che la quasi totalità di questi importi si traduce in riduzioni dell’Irpef legate a carichi famigliari, alla casa e al welfare. Dobbiamo immaginare che saranno questi i capitoli a cui si attingerà per finanziare la (quasi) flat tax?
ER: – Ritengo prematuro valutare la flat tax in assenza di dettagli operativi. Sicuramente il costo potrebbe essere elevato ma, se a essa corrispondesse una seria riduzione delle agevolazioni fiscali, il peso per la finanza pubblica potrebbe diventare sostenibile. Il costo politico di una seria riduzione delle agevolazioni fiscali sarebbe però molto elevato, difficile immaginarne la fattibilità.
In realtà il rumore mediatico sta contribuendo a evitare che si affronti il problema di fondo, ossia una complessiva riforma del sistema fiscale italiano, ormai non più adeguato alla realtà della formazione del reddito e alle problematiche di formazione costante, investimento in professionalità e tecnologia. Lo spostamento della fiscalità dalle persone alle cose e come incentivare la ricerca tramite strumenti fiscali sono temi complessi ma non mi sembra li si intenda affrontare.
MM: – Siamo consapevoli che il percorso economico e finanziario dell’Italia sia stretto e accidentato. Scontiamo le leggerezze del passato, le misure che per qualche tempo hanno generato consensi elettorali a spese delle generazioni successive. Ogni anno, quale che sia il governo, ci sentiamo in dovere di ricordarlo: quando pensiamo ad azioni di politica economica, fiscale e finanziaria guardiamo avanti, al mondo che vorremmo lasciare ai nostri figli. E in questo senso sarebbe importante che un documento programmatico contenesse stime sulla sostenibilità, anche ambientale e sociale, dello status quo e delle politiche governative .
ER: – Nella valutazione di un documento complesso quale è il Def occorre tenere presente il trade-off tra breve e lungo termine. Negli ultimi trenta anni i paesi “avanzati” hanno presentato tassi di crescita contenuti, in linea con i bassi tassi di crescita dell’output potenziale, effetto della demografia ma anche di bassi investimenti in infrastrutture e nuove tecnologie. In questo contesto l’Italia si è mossa in ulteriore ritardo rispetto ai suoi partner ed è stata rallentata in questo processo dalle beghe politiche interne e da un sistema istituzionale farraginoso. Le misure e le considerazioni presentate ieri nel Def non affrontano queste problematiche ma restano ancorate a una visione sostanzialmente di “aiuto sociale” del ruolo della politica di bilancio.
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