Il prestito di 6,3 mld garantito dalla Sace a FCA Italia, non va visto “come un favore ai proprietari, ma un modo di salvaguardare il nostro sistema produttivo, anche perché l’azienda paga le tasse e versa gli stipendi in Italia. Forse si potrebbe studiare, per questi casi, una forma di garanzia finanziaria di livello europeo, coinvolgendo la BCE, ma la politica deve smetterla di interpretare queste operazioni finanziarie come elargizioni ‘pro bono’”. Lo ha detto il presidente di CIDA, Mario Mantovani, in una intervista, rilasciata a “Reputation Rewiew”, che uscirà il prossimo mese di giugno, in cui spiega anche perché è troppo facile criticare la burocrazia per i ritardi degli interventi nella Fase 2 del Covid 19.
“Questo tipo di misure che riguardano grandi imprese a livello europeo con una forte presenza in Italia, ricordiamo che FCA impiega nei suoi stabilimenti italiani oltre 55.000 persone in modo diretto e altrettante con l’indotto, non possono essere trattate dalla politica come una elargizione ‘pro bono’. Aiutare le imprese deve essere il compito primario se vogliamo una ripresa economica degna di questo nome. Non si tratta di fare un ‘favore’ ai proprietari – dice il presidente di CIDA – ma di salvaguardare il nostro sistema produttivo. Nel caso specifico è vero che FCA ha la sede legale fuori dal territorio nazionale, ma le tasse le paga in Italia come gli stipendi ai suoi dipendenti. Altre grandi aziende di Paesi europei, l’ultimo caso riguarda la Renault, si trovano in grosse difficoltà finanziarie: forse sarebbe il caso di pensare ad un disegno generale che garantisca a questo tipo d’imprese una garanzia finanziaria di livello europeo, ad esempio attraverso la BCE, e non pesare solo sui singoli Stati. La crisi che stiamo attraversando è di livello continentale ed anche le risposte devono essere continentali. Lo slogan che ha imperversato in questi ultimi mesi, e cioè ‘ci si salva tutti insieme’, è ancora più vero se parliamo di economia e sviluppo”.
Per quanto riguarda le accuse rivolte alla burocrazia di rallentare lo sviluppo della Fase 2, “non sono proprio convinto che siano i cosiddetti burocrati a spingere per mantenere lo ‘status quo’. Chi lavora nella pubblica amministrazione, e mi riferisco alle posizioni apicali – sostiene il presidente di CIDA – ha qualche volta un approccio per così dire ‘difensivo’ perché è intimorito dalle conseguenze, penali e civili, derivanti dalla responsabilità propria di trasformare delle decisioni politiche in applicazioni operative. Il sistema delle responsabilità non è equilibrato, le leggi si assommano e l’errore è sempre in agguato, per cui al momento dell’applicazione pratica della legge si cerca sempre di inserire qualche ulteriore norma per ridurre il rischio di ritrovarsi a pagare, in quanto anello debole finale della catena che mette il timbro e si assume la responsabilità di quanto scritto. Nell’emergenza che stiamo vivendo, inoltre, la decretazione d’urgenza ha fatto sì che provvedimenti complessi varati a notte tarda dovevano essere tradotti in circolari esplicative in 24 ore. Il ricorso al TAR è sempre in agguato e la responsabilità non va alla politica ma alle strutture che hanno materialmente scritto il provvedimento. La burocrazia nasce in Parlamento, nasce dalle Leggi e da come sono scritte e pensate”, ha concluso Mantovani.