L’allarme occupazione giovanile lanciato oggi dal Centro Studi Confindustria è una diretta conseguenza della separazione esistente fra i mondi della scuola e del lavoro. Una distanza aggravata dal progresso tecnologico applicato ai processi produttivi che rende obsolete le figure professionali tradizionali, e mina il successo di iniziative di per sé valide come quella di Industria 4.0. E’ l’analisi di Giorgio Ambrogioni, presidente di CIDA.
Di fronte a questo scenario occorre un grande investimento nella formazione professionale, coinvolgendo istituzioni, aziende, enti di formazione e parti sociali. E’ infatti palese ed urgente fornire un’offerta formativa in grado di coprire i fabbisogni dell’intero arco di vita del lavoratore inteso come ‘risorsa’ e, nello stesso tempo, in grado di rispondere alle effettive esigenze delle aziende. Un simile processo formativo non può che iniziare nelle scuole, affiancando al personale docente figure professionali-manageriali che introducano ed accompagnino i giovani nel mondo del lavoro.
E’ la filosofia dell’alternanza scuola-lavoro, un progetto sul quale CIDA molto ha investito e molto si è impegnata. E altrettanto impegno – prosegue Ambrogioni – rivendichiamo sul versante di Industria 4.0, perché fin dall’inizio di questa esperienza, CIDA aveva caldeggiato la necessità dell’inserimento di adeguate figure manageriali dotate delle necessarie competenze per la gestione di nuovi e complessi processi di produzione. Il rischio, nel primo caso, è di non riuscire ad orientare i giovani verso i percorsi di studio e di formazione utili ad un ingresso positivo (e ben remunerato) nel mondo del lavoro. Nel secondo di non disporre delle competenze necessarie al funzionamento stesso di Industria 4.0, e di non saper sfruttare le sinergie con il mondo dei centri di ricerca e delle università.
In entrambi i casi il ruolo dei manager e la messa a disposizione delle loro competenze, rappresenta quel ‘valore aggiunto’ in grado di catalizzare il potenziale di crescita dei nostri studenti e delle nostre eccellenze produttive. Inoltre la presenza di ‘tutor’ che accompagnino i giovani dalla scuola all’azienda, molto probabilmente eviterebbe anche la ‘fuga dei cervelli’ dall’Italia. Fenomeno non negativo in sé, ma che – come dimostrano le cifre del rapporto CsC – fa perdere all’Italia in termini di capitale umano circa 14 miliardi all’anno, pari a 1 punto percentuale di PIL. Ma anche i lavoratori ‘maturi’, espulsi dal ciclo produttivo rappresentano un costo sociale ed economico. Ecco perché la formazione non può che essere continua, per accompagnare il lavoratore durante tutto l’arco temporale della sua attività, e qualificata, per adeguarne le capacità professionali alle continue innovazioni di processo e di prodotto.
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