Fonte: Formiche – Analisi, commenti e scenari
Il Covid-19 ha causato una brusca caduta del nostro sistema economico-produttivo e per risollevarsi occorre agire tempestivamente, anche dividendosi i compiti: lo Stato intervenga nel pubblico con le risorse e la necessaria forza d’urto (sanità, infrastrutture, scuola); il privato metta a disposizione competenze e professionalità per agire in fretta sulla produzione e sul lavoro, in sicurezza e coerente assunzione di responsabilità.
Il governo ha agito con sufficiente efficacia nell’emergenza, con tempestività e capacità di prendere decisioni impopolari. Anche i manager hanno dato una risposta rapida e importante trovandosi spesso in prima fila. Basti pensare ai medici ospedalieri o a quelli ambulatoriali, che hanno anche pagato un grave prezzo in termini di incolumità personale. Queste categorie hanno gestito la fase critica della pandemia senza risparmiarsi, affrontando una situazione completamente nuova e spesso confrontandosi con direttive confuse, per non dire contraddittorie. Ma hanno consentito al Servizio Sanitario Nazionale di resistere, esaltandone i punti di forza e mostrandone tutte le criticità, palesi o latenti che fossero.
Anche il mondo della scuola è stato messo a dura prova, e anche in questo caso la capacità di tanti dirigenti scolastici ha consentito di dare continuità all’insegnamento, sia pure a distanza, contribuendo a superare dubbi e difficoltà, comprensibili e giustificate, di molti insegnanti. Senza mai dimenticare la necessità di integrare didattica in presenza e a distanza, appena superata l’emergenza.
Per non parlare, nel mondo del lavoro, della massiccia applicazione del lavoro a distanza, uno smart working mai veramente sperimentato su larga scala e inaspettatamente diffusosi nell’80% delle aziende private grazie alle capacità organizzative dei manager. Un eccellente esempio di rapidità di risposta ad un problema imprevisto e imprevedibile.
Se queste sono state le reazioni, nel pubblico e nel privato, che hanno consentito di reggere l’urto di primo impatto del coronavirus, qualcosa sembra essersi inceppato nella preparazione della Fase 2. Da parte del decisore politico sono apparsi momenti di contrasto tra istituzioni nazionali, regionali, europee, con al centro temi poco concreti, venati d’ideologia, e con un eccesso di normazione, spesso di complicata attuazione o fin troppa attenta ai dettagli. I manager e gli imprenditori si aspettavano di essere chiamati all’azione, di mettere a disposizione delle istituzioni, della classe politica, le proprie capacità e le proprie competenze, come era accaduto nel Dopoguerra, con lo stesso entusiasmo. Avendo anche, per le funzioni esercitate nei luoghi di lavoro, la capacità diretta di assumere la responsabilità di decisioni in grado di risolvere problemi inediti e complessi.
È dunque una riflessione sul metodo quella che abbiamo posto al tavolo di confronto degli Stati generali dell’Economia: un piano di “rinascita” del Paese così impegnativo ed ampio, che richiama necessariamente un modello organizzativo complesso, perché è evidente che non può essere realizzato a colpi di atti normativi, che implicano centinaia di decreti legislativi e attuativi, destinati a rimanere incompleti per anni. I manager chiedono di essere coinvolti in questo enorme sforzo progettuale e realizzativo, consapevoli di esserne all’altezza. Certamente fissando alcune regole di comportamento che riguardino tanto il privato, quanto il pubblico.
Nel privato, ad esempio, occorre saper delegificare, in modo intelligente, per alleggerire la pletora di autorizzazioni duplicati, inutili o incoerenti che insistono sulle attività ma finiscono per soffocare la produttività. Il tutto, certamente, mantenendo la qualità dei controlli, in particolare sul lavoro, ma puntando su chi si può assumere responsabilità e ha le competenze per interpretare correttamente lo spirito della legge. In molti casi sarebbe sufficiente adottare con minimi adattamenti le direttive dell’Unione Europea e fare riferimento a best practice validate da prassi ed Enti non governativi, a livello internazionale. Nel pubblico ci aspettiamo interventi diretti sull’organizzazione, la governance e le infrastrutture – fisiche e digitali – di sanità, pubblica amministrazione, istruzione, concentrando gli interventi, per recuperare ritardi decennali.
Nel pubblico impiego, ad esempio, serve introdurre competenze organizzative digitali, introducendo almeno 2.500 (di cui 700/800 dirigenti e quadri) esperti di processi, valutazione e sviluppo delle competenze, formazione e qualificazione continue, sistemi informativi, relazioni e accessi digitali. Nella sanità la spesa va concentrata sulla prevenzione e sui presidi territoriali. Obiettivo di fondo di questa azione concentrica fra pubblico e privato, è quello di non tollerare più disparità di assistenza fra i cittadini di diverse regioni.
Nella scuola è il momento degli interventi sull’edilizia, di definire un ruolo più significativo per i dirigenti scolastici nell’ottica di un’autonomia collegata ad obiettivi che garantiscano rendimenti e inclusione sociale. Altrettanto importante è un’integrazione crescente fra mondo della scuola e quello del lavoro, con un percorso di formazione professionale in grado di mettere in circolo le competenze. Senza agitare lo spettro della “aziendalizzazione dell’istruzione”, al contrario anche contaminando il mondo della formazione professionale con metodologie didattiche rigorose e aggiornate, specialmente per i più giovani, nella fase d’ingresso al lavoro.
Parlare di metodo vuol dire anche mettere a disposizione della politica la competenza dei professionisti e dei manager, per testare i provvedimenti in cantiere, per capire l’impatto delle misure e la loro incidenza su realtà specifiche.