Lo ‘smart working’, dopo la fase d’emergenza, ha bisogno di un quadro legislativo, di regole contrattuali, di accordi settoriali e aziendali e di una nuova ’governance’ in cui le tutele sindacali del lavoratore e le esigenze dell’azienda o della pubblica amministrazione, si compongano in un nuovo modello organizzativo che garantisca maggior produttività e un rapporto di lavoro più evoluto. E’ la posizione espressa da CIDA durante un’audizione presso la Commissione lavoro della Camera dei deputati, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti disposizioni in materia di lavoro agile e di lavoro a distanza.
“É necessaria una disamina dei profili organizzativi, contrattuali, culturali, e un approfondimento del tema del lavoro agile – ha commentato il presidente della confederazione, Mario Mantovani – valutandone l’impatto sulle persone e sulle organizzazioni e delineando le conseguenti modifiche dei paradigmi tradizionali della concezione del lavoro. In particolare, è quanto mai necessario stabilire quale ruolo debbano avere la legge, la contrattazione collettiva e l’accordo individuale. Il vero lavoro agile è quella modalità di lavoro che può svolgersi in forma mista, in presenza o in remoto, in qualsiasi luogo sfruttando le nuove tecnologie e che postula, però, nuovi modelli organizzativi manageriali. Sia pur con le dovute cautele e le necessarie verifiche, l’adozione di modalità di ‘smart working’ ovvero l’utilizzo di soluzioni/modalità innovative di sviluppo dell’attività professionale può avere vari risultati positivi”.
Secondo i dati Federmanager (CIDA)-Università Tor Vergata, il telelavoro è presente nel 20% delle imprese e disponibile a tutti i lavoratori solo nel 2,5% dei casi (più nelle grandi imprese e meno nelle Pmi che però costituiscono la gran parte del sistema produttivo nazionale). In confronto, la media europea è dell’8.5%, con punte del 20% nei paesi del nord Europa. L’economia di scala ricavabile per ogni unità in telelavoro sarebbe pari a circa 4.000 euro all’anno in modo stabile e crescente in ragione del numero delle risorse impiegate, i benefici che ne deriverebbero potrebbero andare per il 30% a vantaggio delle aziende pubbliche o private, per il 40% come minori costi sociali e per il resto a favore del dipendente. Di conseguenza se le modalità di “smart work” fossero applicate a 1.3 milioni di lavoratori, potremmo ottenere un recupero di circa 4 miliardi di euro all’anno (1⁄4 di punto del Pil).
Per CIDA due sono le condizioni per consentire all’Italia di adeguarsi ai migliori standard. La prima è quella di poter contare su una piattaforma abilitante che consenta di utilizzare con efficacia tutti gli strumenti di comunicazione e trasmissione dati, attraverso lo sviluppo del piano dell’Agenda Digitale e del piano relativo alla “larga banda”. La seconda è quella di poter usufruire di una serie di azioni che facciano uscire il lavoro agile/smart work dallo schema mentale che induce a ritenere si stia parlando solo del lavoro per persone “diversamente abili” ovvero per categorie protette o ancor peggio per attività di scarso contenuto professionale. In questo l’emergenza pandemica ha aiutato, ma i pregiudizi ancora persistono. Il lavoro agile è uno strumento che attiene alle policy aziendali e che deve servire al miglioramento, all’innovazione e all’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali e che riguarda tutti i lavoratori, maschi e femmine, single o sposati. Non deve diventare quindi una forma di segregazione di categorie di lavoratori.
Da questo punto di vista, vanno applicati metodi incentivanti e meccanismi di detassazione e riduzione del costo del lavoro, capaci di costruire regole e buone pratiche adattabili alla specifica realtà aziendale, di filiera o di territorio, anche attraverso la contrattazione aziendale e territoriale. Inoltre, servono incentivi che favoriscano la diffusione e il ricorso al lavoro agile attraverso specifici interventi di supporto formativo e informativo destinati ad aziende, associazioni datoriali, lavora- tori/trici e responsabili aziendali.
“In definitiva, occorre collegare la meritocrazia al raggiungimento degli obiettivi e sempre meno all’articolazione oraria del lavoro, incentivando percorsi formativi che rafforzino lo spirito di iniziativa, l’autonomia e la responsabilità di ruolo, collegati a rigorosi sistemi premianti, defiscalizzati per lavoratore/impresa”, ha concluso Mantovani.