Nel momento in cui l’economia sembra ripartire, non possiamo limitarci all’obiettivo di tornare alla situazione precedente, soprattutto nel mondo del lavoro dove la pandemia ha reso non più tollerabili vecchie contraddizioni: differenti tutele sociali fra lavoratori autonomi e dipendenti; scarso rinnovamento organizzativo dell’impresa, dimostrato anche dall’inadeguata presenza manageriale. E’ il quadro che emerge dal secondo numero di ‘Labour Issue’, l’Osservatorio trimestrale realizzato da CIDA (la confederazione dei dirigenti pubblici, privati e delle alte professionalità) in collaborazione con Adapt.
“La costruzione giuridica e normativa del lavoro, non ha resistito allo tsunami della pandemia – ha detto Mario Mantovani, presidente di CIDA. Ne hanno fatto le spese, come sempre, le categorie meno protette: chi ha visto scadere il contratto a termine, chi aveva un lavoro autonomo, dipendente da pochi committenti o bloccato dalle chiusure, chi non aveva alcun contratto. Occorre un welfare occupazionale che protegga tutti, dotando ciascuno di una rete di salvataggio, disegnata sul suo stato e sulle sue esigenze, diversificata quindi, ma universale. Non possiamo più fingere che un lavoratore autonomo o una micro impresa siano assimilati a una vera azienda, leggibile con i criteri di bilancio, di utile, perdite, redditività. Si tratta di lavoratori, soggetti spesso alle medesime dinamiche di mercato dei ‘dipendenti’ e come tali da garantire in caso di difficoltà, da monitorare e aggiornare nelle competenze, da orientare”.
“Nello stesso tempo occorre investire nel lavoro di qualità, favorendo la crescita del lavoro remunerato con stipendi medi e alti. Emblematica la situazione dei dirigenti in Italia, fanalino di coda fra i Paesi europei: l’Italia si colloca al sestultimo posto con un 3,43% di manager sul totale degli occupati. Il quadro europeo è molto diversificato con percentuali superiori al 10% di manager sul totale degli occupati in Inghilterra, Islanda, Lettonia; tra l’8 e il 10% in Belgio, Estonia, Irlanda, Lituania, Norvegia; tra il 6 e l’8% Francia, Polonia, Portogallo, Slovenia, Svezia e Svizzera. Nel solo settore privato la situazione italiana appare ancora più anomala: ultimo posto in Europa, con un valore inferiore all’1% di dirigenti sul totale degli occupati nel 2019 (779 mila unità, 820mila nel 2018)”.
“Un numero così basso rispetto a quasi tutti i paesi europei denota una carenza organizzativa profonda del nostro Paese, un posizionamento competitivo debole, un vuoto di prospettive. Dai dirigenti, dai tecnici di medio e alto livello, dalle alte professionalità può ripartire un’Italia diversa, finalmente posizionata nei segmenti globali con maggiore valore aggiunto, in grado di trattenere e attrarre i talenti migliori, di generare ricadute positive anche per il resto dei lavoratori. I numeri così bassi di dirigenti, e anche la scarsa attenzione della statistica al fenomeno documentata nel report di CIDA-Adapt, sono lo specchio di un fallimento culturale, che ha guardato il lavoro, e spesso continua a farlo, come una ‘merce’, come uno scambio tra tempo e denaro, come una somma di ‘posti di lavoro’.
“CIDA si impegna a mettere al centro del dibattito, sfruttando l’occasione e le potenzialità del Pnrr, la necessità del rinnovo della classe dirigente e di una vera e propria costruzione di una nuova generazione di manager che possa modernizzare il nostro Paese. Nei prossimi mesi speriamo di vedere una nuova tendenza, non solo il recupero dei posti perduti. Una ripartenza che consolidi i timidi segnali di crescita del lavoro giovanile, di quella fascia 25-34 anni che nei paesi evoluti è fortemente dinamica e promuove le competenze più aggiornate e strategicamente rilevanti. Una fascia d’età in cui le donne mostrano capacità crescente di assumere ruoli di responsabilità, ma troppo spesso debbono rinunciare o rinviare la maternità, per carenza di servizi adeguati”.
“Nei prossimi mesi analizzeremo gli effetti dei provvedimenti di legge, quelli emergenziali adottati durante la pandemia e quelli che il Governo sta varando per la ripartenza, ma non dimentichiamo le debolezze dell’Italia pre-Covid e gli obiettivi di trasformazione positiva del lavoro, da raggiungere prima che sia troppo tardi”, ha concluso Mantovani.