“Bocciare la flat tax con la motivazione che non ci sono le coperture necessarie, ci sembra un atteggiamento conservatore, di difesa di uno statu quo fiscale che, al contrario, ha bisogno di essere riformato dalle fondamenta”: ad intervenire sull’argomento che sta infiammando il dibattito politico pre-elettorale, è Giorgio Ambrogioni, Presidente di CIDA, una comunità di professionisti che, pur costituendo il 4% dei contribuenti, paga il 34% dell’Irpef.
Ma al di là di questo, precisa Ambrogioni, “Non si può parlare di flat tax senza tener conto dei tre effetti che dispiega: mantiene una progressività dell’imposizione, prevede una drastica revisione della pletora di sgravi, deduzioni e bonus stratificatisi negli anni, impone interventi mirati e ridistribuivi sul fronte della spesa pubblica. Non da ultimo, semplifica le procedure fiscali e alleggerisce la pressione inducendo ad un calo fisiologico dell’evasione e dell’elusione (sulle quali, comunque, resta molto lavoro da fare).
“Ben prima dello scioglimento delle Camere – prosegue Ambrogioni – CIDA ha elaborato un documento di politica economica per un confronto con le forze politiche e sociali. Un progetto articolato ed ambizioso come contributo, da classe dirigente, per rilanciare il Paese in termini di produttività e competitività. Fra le altre proposte anche quella di un intervento di politica fiscale in cui si poneva l’obiettivo di un’aliquota unica come un traguardo cui giungere, dopo un percorso in cui, all’indispensabile snellimento del fisco, con revisione e riduzione di una pletora di sgravi, deduzioni, ecc. si accompagnava una rigorosa gestione della spesa pubblica, sia sul fronte dell’efficienza (spending review) sia dell’efficacia (sanità, assistenza, welfare, ecc.). Inoltre si rendeva esplicito, una volta per tutte, il macroscopico squilibrio provocato da una tassazione concentrata sul reddito di pensionati e lavoratori dipendenti.
“Ma forse le argomentazioni di tanti economisti ed esperti, pur favorevoli alla flat tax, non sono, da sole, sufficienti a chiarirne la portata e l’atteggiamento di apertura con cui ne discutiamo. I manager, i dirigenti che lavorano nelle aziende, negli ospedali, negli istituti scolastici, nella pubblica amministrazione, manifestano da tempo insofferenza verso uno Stato che non riconosce il merito, non investe in competenza e in formazione e non sembra dare segnali di ottimismo alle nuove generazioni. Proporre e sostenere una ‘rivoluzione fiscale’ vuole essere un segnale di rottura con le politiche dei rinvii, con le gestioni miopi della cosa pubblica, con la difesa ad oltranza dei propri ‘orticelli’.
Quella sul fisco è una scommessa impegnativa ed irrinunciabile perché si rifà direttamente al ‘patto sociale’ fra lo Stato e il cittadino; un patto ormai spesso messo in discussione. Ecco perché non possiamo accontentarci, ancora una volta, di interventi-tampone, di tagli qui e là, di pezze messe all’ultimo momento. La risposta alla demagogia è la concretezza di proposte serie e coraggiose; i rinvii e le titubanze fanno il gioco dei populismi”, ha concluso Ambrogioni.